Da gennaio a maggio 2023 l’associazione BANDUS ha portato gioco, divertimento e socializzazione all’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti con il progetto “Sensi in gioco”.
Grazie al contributo di Fondazione CR Firenze sono stati organizzati dieci incontri ludici che hanno visto la partecipazione di una ventina di persone tra soci BANDUS e persone ipovedenti o non vedenti, il tutto sempre all’insegna del buon gioco, della sana competizione e della socialità.
Un’esperienza che ha arricchito la nostra concezione del gioco e del giocare, uscendo dagli schemi e abitudini ed entrando nel mondo di chi vive quotidianamente una particolare condizione.
Abbiamo intervistato Carlo Donadio, attuale presidente di BANDUS e promotore del progetto.
Parlaci di questo progetto “Sensi in gioco”, come è nata l’idea?
E’ necessario fare alcune premesse. All’inizio delle attività con il Ludobus della Maremma, il nostro obiettivo era quello di offrire un servizio di intrattenimento e di animazione di qualità, proponendo giochi della tradizione italiana e internazionale, sempre all’insegna del sano divertimento e del buon gioco. Con il passare del tempo, collaborando con altri enti, ci siamo resi conto che questi giochi giganti del Ludobus risultavano facilmente fruibili anche da persone in condizioni di disabilità.
Il secondo spunto ci è arrivato dalla FederludoCon di quest’anno, sono state invitate due professioniste di LiberoAccesso, le quali ci hanno praticamente dimostrato che il gioco di per sé non è inclusivo, come a volte superficialmente si afferma, e che necessita di riflessione affinché possa essere adattato alle varie circostanze.
Puoi farci un esempio?
Ti faccio una domanda. Quanti giochi da tavolo, tra le decine o le centinaia che riempiono i nostri scaffali, sono adatti ad una persona non vedente? Uno, forse due…; quali ostacoli potrebbe incontrare una persona ipovedente o con difficoltà nella lettura che si trova davanti una scheda-personaggio scritta in Times New Roman 5?
Ho citato esempi che riguardano persone cieche e ipovedenti perché il progetto “Sensi in gioco” ha coinvolto questo tipo di persone, ma potremmo immaginare qualsiasi condizione, dalla sindrome di Down, all’autismo, alle disabilità motorie o intellettive.
Ecco che, da queste riflessioni, risulta difficile pensare al gioco come a un diritto, così come dichiarato nelle convenzioni internazionali e mi riferisco alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989 e quella sui Diritti delle persone con disabilità del 2006, dove si afferma che il gioco è fondamentale per lo sviluppo individuale e sociale delle persone. Poi in realtà, come abbiamo visto, non tutti hanno le stesse opportunità.
Molto vero, Convenzioni e Dichiarazioni sono obiettivi verso cui tendere, poi è compito delle persone, a vari livelli, impegnarsi per metterle in pratica.
Esatto, e il nostro obiettivo ora è quello di rendere il gioco fattivamente inclusivo.
Pensi di averlo raggiunto con questo progetto?
Diciamo che abbiamo messo un tassello in più verso l’inclusione. Tornando al progetto “Sensi in gioco”, anzitutto vorrei dire che è stato realizzato grazie al contributo della Fondazione CR Firenze e abbiamo organizzato dieci incontri con le persone dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Grosseto che si sono dimostrati da subito molto interessati e disponibili. Gli incontri erano strutturati semplicemente come sessioni di gioco dove abbiamo proposto quiz a carattere letterario, storico e musicale, giochi sensoriali, alcuni dei quali costruiti per l’occasione, e per i più giovani giochi di ruolo. In tutto abbiamo coinvolto una ventina di persone, tra i nostri soci e quelli dell’Unione, e un ragazzo ipovedente si è anche iscritto all’associazione e frequenta regolarmente le nostre serate ludiche. Ma l’importante è che tutte queste persone abbiano avuto un’occasione in più per confrontarsi e relazionarsi con la diversità.
Da quello che sappiamo giochi e attività ludiche per ciechi e ipovedenti esistono già in commercio, come ad esempio il Memory sonoro o lo Scarabeo tattile, in che modo il tuo approccio fa la differenza?
Considera questi due aspetti; il primo, quantitativo: chi non è portatore di disabilità ha a disposizione centinaia e migliaia di giochi tra cui scegliere di volta in volta, anche in base alle proprie preferenze, gusti, desideri; i giochi per ciechi e ipovedenti sono una pagina di catalogo, non pensi che dopo un po’ subentri la noia nel fare sempre gli stessi giochi?
Esattamente come succede a noi tra l’altro, sempre alla ricerca di nuovi titoli e stimoli.
In secondo luogo, alcuni di questi giochi e attività sono pensati esclusivamente per ciechi e ipovedenti, così come succede per quegli sport che vengono adattati per una specifica categoria di persone e, va bene, si offrono così delle opportunità alle persone con disabilità, ma non c’è inclusione. L’inclusione è quando all’interno di un’attività ci sono le condizioni favorevoli per interagire in maniera significativa con le persone a prescindere dalla loro diversità, che può essere sociale, culturale o, in questo caso, in termini di disabilità. Se costruisco un gioco fruibile solo da persone non vedenti, questo non crea inclusione, anzi, evidenzia la loro diversità.
La nostra sfida infatti è stata quella di pensare, progettare e costruire giochi che potremmo definire “universal designed”, ovvero concepiti per essere fruibili dalla maggior parte delle persone possibili, a prescindere dalla presenza di condizioni di disabilità.
Puoi farci un esempio?
Nel gioco “Tesori nelle nuvole”, che è un adattamento di un gioco tradizionale che ha vari nomi, le schede presentano parole in rilievo scritte in Verdana 22, con adeguata spaziatura tra le lettere, sotto ogni parola l’immagine corrispondente e gli oggetti dentro la scatola sono di dimensioni medio-grandi. Queste piccole accortezze rendono questo gioco fruibile contemporaneamente da persone cieche e ipovedenti, persone Down e autistiche a medio e alto funzionamento, persone con difficoltà nella lettura o che usano canali comunicativi alternativi come immagini o simboli, ecc…
Sembra proprio una bella sfida, piuttosto impegnativa.
Eh sì, ma noi giocatori ormai siamo abituati alle sfide, qui c’è in gioco il benessere sociale delle persone ed è una partita che vorremmo vincere.
Ringraziamo Carlo per la sua testimonianza nell’auspicio che si diffondano sempre più esperienze e progetti di inclusività ludica come Sensi in Gioco.